1. EPIDEMIOLOGIA
L'insufficienza venosa cronica (IVC) è una condizione clinica nella quale non è più garantito il normale ritorno del sangue venoso al cuore, a causa del malfunzionamento delle vene degli arti inferiori.
Questa situazione crea una stasi venosa periferica e quindi una ipertensione venosa, responsabile della sintomatologia e dei segni obiettivi, sia in posizione eretta che seduti.
L'insufficienza venosa cronica è una condizione clinica molto frequente, specie nei paesi occidentali, ed è una malattia che comporta sia importanti ripercussioni socio-economiche rappresentate da significative perdite in ore lavorative, sia ripercussioni sulla qualità della vita.
La prevalenza attuale dell’IVC a carico degli arti inferiori è del 10-50% nella popolazione adulta maschile e del 50-55% in quella femminile. La malattia varicosa è presente, clinicamente manifesta, nel 10-33% delle donne e nel 10-20% dei maschi adulti (1).
Fra i diversi studi epidemiologici, ai fini di fornire dati di incidenza pura, appaiono di notevole interesse speculativo quelli prospettici. Pochi sono in realtà dedicati all’IVC. Il più citato è il FRAMINGHAM in cui l’incidenza di varici (comparsa di nuovi casi nell’unità di tempo) è del 2,6% nella donna e dell’1,9% nell’uomo per anno; a due anni le varici colpiscono rispettivamente 39/1000 uomini e 52/1000 donne (2).
La correlazione fra prevalenza di varici ed età è quasi lineare: il 7-35% e il 20-60% rispettivamente degli uomini e delle donne fra i 35 e i 40 anni; dal 15 al 55% degli uomini e dal 40 al 78% delle donne oltre i 60. Le flebopatie e le varici sono rare nei bambini e negli adolescenti.
Tuttavia bambini con familiarità positiva per varici possono sviluppare vene ectasiche ed incontinenti già nell’adolescenza (3).
Notevoli variazioni circa la prevalenza di varici si osservano negli studi epidemiologici condotti in differenti aree geografiche (4).
Fattori predisponenti
Il primo è sicuramente rappresentato dalla familiarità: l’incidenza di varici in persone con o senza fattori ereditari trasmissibili varia dal 44 al 65% in presenza dei suddetti fattori vs il 27-53% in loro assenza (4).
Una predisposizione familiare coesiste nell’85% dei portatori di varici vs il 22% di pazienti senza antecedenti (5).
Tuttavia se molti studi dimostrano una “eredità verticale”, nessuno al momento ne rivela una “orizzontale”,che potrebbe spiegare un modello genetico.
Numerosi studi epidemiologici correlano l’incidenza delle varici con la gravidanza e con il numero dei parti.
Esse variano dal 10 al 63% in donne con figli vs 4-26% in nullipare.
Da 1 a 5 gravidanze comportano un’incidenza di malattia varicosa dell’11-42% con progressione lineare con l’aumento dei parti. La correlazione è ancora più evidente se la donna è già affetta da disturbi venosi. Tuttavia non mancano studi che dissentono negando una relazione fra incidenza di varici e numero di gravidanze.
La relazione fra varici e peso corporeo è stata esaminata da vari autori. Persone in sovrappeso (25-70%), specie se di sesso femminile e abitanti in aree civilizzate, soffrono maggiormente di IVC e di malattia varicosa rispetto a soggetti di peso normale , dal 25 ad oltre il 70 % (in entrambi i sessi) vs il 16-45% (4).
Nel sesso femminile è stato notato un incremento delle percentuali di persone poco sopra il peso normale o di obese a partire dalla 5ª decade, quindi con la menopausa, a conferma del ruolo che giocano gli ormoni nel determinare un aumento del peso corporeo ed al contempo della patologia venosa.
L'ipertensione ed il fumo di sigaretta non si sono rivelati fattori di rischio statisticamente significativi e correlabili all'IVC, mentre è ancora in discussione se la stipsi sia da considerarsi un fattore favorente, naturalmente su di un individuo che ha una predisposizione alla malattia.
È ampiamente riconosciuto che alcune occupazioni, particolarmente quelle che obbligano ad un prolungato ortostatismo, si associno ad una maggiore prevalenza di varici, anche se una tale correlazione è estremamente difficile da dimostrare sul piano statistico (6).
Per quanto riguarda le manifestazioni cliniche legate ad IVC, l’edema e la comparsa di lesioni trofiche, l’iperpigmetazione e l’eczema, espressioni di IVC CEAP 4-6,variano dal 3 all’11% della popolazione. Lo sviluppo di nuovi sintomi/anno è circa l’1% per l’edema e lo 0,8% per modeste dermopatie (7).
Ulcere venose (UV) in fase attiva si ritrovano in circa lo 0,3% della popolazione adulta occidentale e la prevalenza globale di ulcere attive e guarite si attesta sull’1% con sconfinamento oltre il 3% negli ultrasettantenni (8).
La guarigione delle UV può essere ritardata od ostacolata sia dalla sottovalutazione della malattia da parte dei medici curanti, sia dall'appartenenza dei pazienti a classi sociali meno abbienti. In questi casi la prognosi delle ulcere venose è poco favorevole e richiede, in genere, tempi più lunghi per la guarigione e facilità di recidive.
Il 50-75% ripara in 4-6 mesi mentre il 20% resta aperto a 24 mesi e l’8% a 5 anni.
L’IVC rappresenta un notevole onere per i servizi di prestazione di salute ed un’importante fonte di costo per la società.
Se in età lavorativa, il 12,5% dei pazienti ha registrato un prepensionamento (9-10).
Il numero di ore lavorative perse per IVC ogni anno in Inghilterra e Galles è di circa 500.000 ore, mentre negli Usa, dove 25 milioni di persone sono portatrici di varici, 2,5 milioni di IVC e 500.000 di ulcere venose attive, è di 2 milioni di ore.
2. PATOGENESI
In base a un criterio topografico, sede delle lesioni, è possibile una fondamentale classificazione dell'insufficienza venosa cronica. Questa distingue:
- l'insufficienza venosa superficiale;
- l'insufficienza venosa profonda.
La prima è caratterizzata da localizzazione al sistema venoso superficiale o alle vene comunicanti o ad entrambi. Questa condizione patologica è nota altresì con la più comune denominazione di "varici essenziali o primarie o primitive".
L'insufficienza venosa profonda è contraddistinta da lesioni che primariamente interessano il sistema venoso profondo e secondariamente quasi sempre anche il sistema delle vene comunicanti e il sistema venoso superficiale.
Essa viene suddivisa in:
- insufficienza venosa profonda primaria (o non trombotica);
- insufficienza venosa profonda post-trombotica o sindrome post-trombotica.
La forma primaria è data da un'alterazione congenita, come aplasia valvolare o prolasso dei lembi valvolari o dilatazione dell'anello valvolare.
La sindrome post-trombotica è dovuta alle sequele di una trombosi venosa profonda.
2.1 Varici Primitive
Nonostante gli innumerevoli studi condotti sull'argomento, ancora non si conosce l'eziologia esatta delle varici primitive degli arti inferiori. Al momento due sono le teorie più accreditate, anche se nessuna delle due può considerarsi assolutamente esaustiva.
a) Teoria emodinamica. Questa ipotesi mette come causa principale della malattia varicosa l'insufficienza valvolare (sia nei tronchi safenici che nelle vene perforanti) provocata da un aumento della pressione idrostatica, diretta conseguenza della stazione eretta propria dell'Homo Erectus. Tale fattore eziologico primordiale, responsabile dell'ipertensione venosa, determinerebbe una progressiva e sequenziale incompetenza degli apparati valvolari nei tronchi safenici e nelle perforanti con dilatazione ed allungamento degli stessi, in altre parole la formazione di varici. Tale teoria è però attualmente molto contestata essendo in antitesi con le osservazioni di numerosi Autori (Rose, Tibbs, Salvador Marques, Browse, ecc.)
Sulla base delle attuali conoscenze si può affermare che il fattore emodinamico gioca certamente un ruolo fondamentale ma è solitamente secondario alle primitive alterazioni della parete venosa.
b) Teoria parietale. Secondo questa teoria la malattia varicosa sarebbe dovuta ad una alterazione iniziale, su base ereditaria, della parete venosa, che porterebbe allo sfiancamento della vena, alla sua dilatazione e solo secondariamente ad una insufficienza valvolare con conseguente reflusso. (Fig.1)
Le alterazioni parietali consisterebbero in una riduzione del tessuto muscolare liscio e del tessuto fibroso collageno ed elastinico, come dimostrato da numerosi studi di microscopia ottica ed elettronica. È molto probabile che queste lesioni siano la conseguenza di importanti alterazioni biochimiche e metaboliche verosimilmente a trasmissione ereditaria.
2.2 Sindrome post-trombotica
Inizialmente la sindrome post-trombotica è caratterizzata da lesioni delle vene profonde, successivamente da coinvolgimento anche di vene comunicanti e delle vene superficiali, nonché del sistema vascolare linfatico e di tessuti muscolari e cutanei.
L'esito di ogni trombosi venosa profonda è l'occlusione di vene profonde. Pertanto inizialmente la sindrome post-trombotica è caratterizzata da ostruzione (questa fase è detta appunto ostruttiva). Per effetto dell'evoluzione naturale, data da trombolisi endogena, e di eventuale trattamento fibrinolitico, segue la fase di ricanalizzazione. Questo processo può essere quasi completo o solo parziale. La sua entità è differente secondo la localizzazione della trombosi venosa: infatti si sviluppa soprattutto nelle vene tibiali e poplitea e spesso resta incompleto nelle vene femorali e iliache. Generalmente esso inizia 4-6 mesi dopo la trombosi venosa profonda e può completarsi nei 12-14 mesi successivi all'episodio trombotico stesso (11).
Considerando il tipo di lesioni venose profonde, la sindrome post-trombotica può presentarsi in fase ostruttiva, con ostruzioni segmentarie concomitanti a parziale ricanalizzazione di altri segmenti o in fase di estesa ricanalizzazione (12).
Le vene comunicanti sono spesso coinvolte precocemente, compromettendo così anche il sistema venoso superficiale.
Dal punto di vista funzionale, l'ostruzione venosa profonda dà aumento delle resistenze per ostacolo al deflusso venoso. Questo può essere fornito da vie venose profonde rimaste indenni e dal sistema venoso superficiale. Questo inizialmente, nel corso della fase ostruttiva, può assumere in effetti un ruolo compensatorio, potendo costituire la via di deflusso venoso preferenziale dell'arto inferiore. Successivamente perde questa funzione e diventa varicoso, venendo ad aggravare quindi l'insufficienza venosa cronica. (Fig.2)
Nella fase di ricanalizzazione il danno prevalente è l'incontinenza valvolare delle vene profonde.
Va aggiunto che il grado di compromissione funzionale e di conseguenza anche la gravità clinica della sindrome post-trombotica sono in rapporto alla localizzazione delle lesioni nel sistema venoso profondo.
Precisamente le lesioni delle vene profonde distali (sotto poplitee e poplitea) sono responsabili delle condizioni fisiopatologiche e cliniche più compromesse, soprattutto se associate a lesioni delle vene profonde prossimali. Al contrario, le lesioni limitate alle vene prossimali (femorali e iliache) di norma sono responsabili di alterazioni funzionali non gravi, corrispondenti a condizioni cliniche oligo-sintomatiche o moderatamente sintomatiche (13-16).
Non va ignorato il comportamento del sistema vascolare linfatico. Ogni edema, di qualsiasi eziologia, comporta un'insufficienza di flusso linfatico. Questa può essere compensata, comportando solo sovraccarico del drenaggio linfatico, o scompensata, comportando sovraccarico ed edema più o meno marcato. Questa insufficienza di flusso linfatico è in un primo tempo di tipo dinamico, caratterizzato da alto flusso linfatico, assenza di lesioni dei vasi linfatici, aumentato carico degli stessi e aumentata capacità di trasporto. In un secondo tempo, nelle forme inveterate e più gravi possono svilupparsi lesioni organiche dei vasi linfatici, creandosi così le condizioni di insufficienza di flusso linfatico di tipo meccanico. Questo si caratterizza per basso flusso linfatico, aumentato carico degli stessi e diminuita capacità di trasporto. In casi di questo genere l'edema è riconducibile a due componenti organiche, l'una venosa e l'altra linfatica, tanto da poter indicarlo come flebolinfedema.
3. FISIOPATOLOGIA
3.1 Fase emodinamica macrocircolatoria
Le vene varicose con il reflusso safenico e la SPT con il reflusso nelle vene profonde realizzano un sovraccarico di volume nel sistema venoso degli arti inferiori, un caput mortum che, spinto verso il cuore ad ogni sistole muscolare di coscia e polpaccio, ritorna indietro durante la diastole. Il sovraccarico di volume è per lungo tempo compensato dal sistema venoso integro (il profondo nelle varici ed il superficiale nella SPT).
L'efficienza emodinamica di questo compenso è basata sul sistema delle vene perforanti nelle quali il flusso è fisiologicamente diretto dal sistema superficiale verso il profondo, mentre quando le valvole divengono incontinenti si realizza un movimento di va e vieni. In questa fase il flusso durante la diastole muscolare può continuare a dirigersi prevalentemente verso il sistema profondo (perforante incontinente compensata) o andare verso il sistema superficiale realizzando un va e vieni apparente senza alcun reale drenaggio (perforante incontinente scompensata). In questo momento inizia lo scompenso della IVC, con comparsa di ipertensione venosa passiva e riduzione dello svuotamento venoso durante la deambulazione, che in condizioni normali è pressoché totale.
3.2 Fase emodinamica microcircolatoria
Seguendo la legge generale dell'emodinamica, l'ipertensione venosa passiva ed il ridotto svuotamento venoso durante la deambulazione si ripercuotono sul distretto vascolare immediatamente a monte, rappresentato in questo caso dal sistema micro-circolatorio, venule e capillari. Il mancato svuotamento deambulatorio coinvolge anche questi distretti, come dimostrato dalle alterazioni rilevate dalla foto-pletismografia infrarossa e dal laser-Doppler, con una marcata stasi microcircolatoria che, da un iniziale stato di sofferenza funzionale espressa dalle alterazioni reticolari visibili alla capillaroscopia, passa alle tipiche alterazioni organiche con comparsa delle formazioni gomitolari (halo formation), aumento della permeabilità ed edema connettivale.
3.3 Fase tessutale
La comparsa della stasi micro circolatoria e delle alterazioni capillari segnano l'inizio della fase tessutale della IVC, nella quale particolare importanza ha la microcircolazione della cute, vero organo bersaglio della IVC. Questa fase, al contrario della fase emodinamica, non è caratterizzata da una cascata di eventi fisiopatologici l'uno conseguente all'altro, bensì dal contemporaneo coinvolgimento di quel network cellulare e molecolare che gli esperti di microcircolazione indicano come microvascular defence system (MDS). Si tratta del sistema endoteliale, piastrinico e leucocitario e delle molecole paracrine da essi prodotte; attivatori e inibitori fisiologicamente e in continua produzione e rimozione, in un equilibrio dinamico che caratterizza la funzione microcircolatoria in base alle richieste generali e distrettuali.
La stasi e l'ipertensione venosa inducono repentinamente sull'endotelio un aumento della permeabilità ed un'alterazione della sua funzione.
L'aumento della permeabilità si traduce in un aumento della filtrazione nella unità microvasculo-tessutale, con aumento del liquido e della pressione interstiziali. Inizialmente questo aumento è compensato dal drenaggio micro-linfatico che tuttavia è destinato ad esaurirsi sia per il raggiungimento della soglia massima di drenaggio, sia per la frequenza di microlinfangiti reattive al considerevole incremento del flusso linfatico. Il mancato compenso comporta un ulteriore aumento della stasi che favorisce l'evoluzione fibrotica dell'edema, il rischio di infezioni, la comparsa delle alterazioni trofiche cutanee, con possibilità anche di degenerazione maligna.
Con l'aumento della permeabilità nell'interstizio passano non solo liquidi e cristalloidi, ma anche macromolecole come il fibrinogeno e i globuli rossi (diapedesi). Il fibrinogeno, fuori dal vaso, polimerizza rapidamente in fibrina, che si deposita a manicotto intorno ai capillari impedendo l'ossigenazione tessutale, come dimostrato dalla riduzione della TcpO2 nelle fasi avanzate della IVC.
L'ipoperfusione tessutale da manicotto di fibrina è stata ritenuta la principale responsabile della patogenesi dell'ulcera. Studi successivi non hanno confermato né smentito del tutto la teoria; i manicotti di fibrina peri-capillare sono una reazione tessutale frequentemente presente, che spesso persiste anche dopo la guarigione.
La sofferenza endoteliale, d'altro canto, si esprime con una drastica riduzione dell'ATP intracellulare, attivazione delle fosfolipasi A2 (PLA2) e della cascata dell'acido arachidonico, con una aumentata produzione di mediatori infiammatori e di fattori di crescita attivi sulle cellule muscolari lisce (bFGF), con attivazione e adesione dei leucociti (ICAM-1 e VACM-1).
Nella fisiopatologia dell'ulcera oggi viene data molta evidenza al leucocita attivato dalla stasi e dall'ipossia. In queste condizioni il leucocita è attivato a produrre radicali liberi dell'ossigeno che, nell'ambiente extracellulare possiedono un'alta lesività per le strutture contigue al focolaio di attivazione (membrana lipidica cellulare, strutture glicosaminoglicaniche della parete vasale).
Nell' IVC si ritiene attualmente che i metaboliti reattive dell'ossigeno vengano prodotti con due meccanismi fondamentali: l'ossidazione dei componenti della membrana cellulare (lipoperossidazione) in seguito al danno endoteliale e l'attivazione dei leucociti e piastrine.
Poiché questi meccanismi agiscono insieme, il danno cellulare viene amplificato e la stasi venosa aumenta. Il leucociti, oltre ad alterare fisicamente il microcircolo tramite l'aggregazione, inducono un ulteriore danno cellulare secernendo citochine e proteasi lisosomiali. In questo scenario i ROS possono essere considerati un affidabile parametro di riferimento di danno tissutale in corso. L'ulcera è l'espressione finale della sofferenza metabolica del tessuto cutaneo. La posizione declive e le basse velocità di flusso sono determinanti per la migrazione extra-vasale dei leucociti e le interazioni con l'endotelio comportano il rilascio di enzimi proteolitici e radicali liberi dell'ossigeno. L'accumulo di macrofagi e linfociti T è correlato con la liposclerosi. La genesi dell'ulcera è certamente favorita dai fenomeni di trombosi capillare da parte dei linfociti.
Un parametro di progressione dell'IVC che la recente letteratura ha considerato affidabile ma che attende ulteriori conferme è l'emosiderinuria. L'utilizzo dell'emosiderinuria per la valutazione dell'IVC ha indici di preditività positiva del 96%, di predittività negativa dell'88%, con la sensibilità del 94% e precisione diagnostica del 95%. (Zamboni et al., 2004)
Tutta questa serie di reazioni si traduce in trombosi micro vasale, attivazione dei processi di morte cellulare (apoptopica e non) e necrosi.
La diapedesi eritrocitaria e la successiva lisi causano accumulo di emoglobina ed emosiderina che rappresenta un ulteriore stimolo chemiotattico per i macrofagi. L'effetto scavenger rimane tuttavia insufficiente a causa dell'adesione leucocitaria e l'emosiderina rimane per la gran parte nei tessuti.
3.4 I radicali liberi
Per radicale libero si intende una specie chimica, capace di esistenza indipendente, contenente un elettrone spaiato nell'orbitale più esterno. Tali molecole sono instabili ed altamente reattive, in quanto tendono a sottrarre ad altre molecole un elettrone per raggiungere una maggior stabilità.
Se due radicali reagiscono tra loro, vengono entrambi eliminati; se un radicale reagisce con un non-radicale, verrà prodotto un altro radicale libero. Questo meccanismo fa sì che i radicali liberi determinino delle reazioni a catena.
I radicali liberi sono generati in modo endogeno durante i normali processi fisiologici. Questi includono la respirazione mitocondriale e le reazioni che coinvolgono enzimi, come la lipossigenasi e la xantina ossidasi, o la generazione di pro-ossidanti da parte delle cellule fagocitarie del sistema immunitario. (17).
Le cellule, per generare energia, ossidano per via enzimatica sostanze alimentari e riducono l'ossigeno ad acqua; per effettuare questa trasformazione l'ossigeno molecolare necessita di quattro elettroni. Questa cessione di elettroni all'ossigeno non avviene contemporaneamente, ma uno per volta, con generazione di specie intermedie altamente instabili e reattive indicate spesso in letteratura come "specie reattive dell'ossigeno" o Ros (reactive oxigen species). Se la cessione di elettroni all'ossigeno non si completa, questi Ros verranno rilasciati all'interno dei mitocondri.
Le cellule hanno sviluppato una serie di meccanismi per intercettare e neutralizzare questa specie reattive dell'ossigeno, ma non sempre tali difese risultano efficaci. Si parla quindi di "paradosso dell'ossigeno", elemento necessario per la sopravvivenza ma, al tempo stesso, causa di molteplici danni.
L'ossigeno, quando ossida le altre sostanze, viene esso stesso sottoposto ad una serie di riduzioni in cui sottrae elettroni da altre molecole e produce una serie di intermedi radicalici. La formazione di questi composti altamente reattivi è dovuta all'impossibilità, da parte dell'ossigeno, di acquisire contemporaneamente i quattro elettroni necessari per la riduzione ad acqua.
La maggior parte delle molecole contiene coppie di elettroni con spin opposto che si trovano in orbitali molecolari discreti e che potrebbero, o meno, partecipare alla formazione di legami. L'ossigeno contiene elettroni con spin parallelo che risiedono ognuno in un proprio orbitale.
Termodinamicamente, l'ossigeno ha la tendenza ad acquisire elettroni (due per atomo o quattro per molecola) per produrre molecole d'acqua che hanno una minore energia. La particolare distribuzione degli elettroni della molecola di ossigeno, tuttavia, impedisce all'ossigeno di accettare una coppia di elettroni con spin opposto fino a che uno dei suoi due elettroni spaiati non subisce un'inversione di spin spontanea.
Alle ordinarie frequenze di collisione il periodo di contatto è troppo breve perché avvenga questo cambiamento di spin, imponendo una barriera cinetica (cioè una grande energia di attivazione) alla maggior parte delle reazioni ossidative. È proprio questa barriera che rende l'ossigeno un ideale accettore terminale di elettroni nei sistemi biologici. Gli enzimi hanno siti di legami che possono mantenere l'ossigeno in contatto con un substrato ossidabile per un tempo molto più lungo di quello che si avrebbe per semplice collisione, superando la barriera cinetica delle reazione (18).
Quasi il 98% dell'ossigeno è metabolizzato da un singolo enzima, la citocromo ossidasi dei mitocondri, che trasferisce 4 elettroni all'ossigeno in una reazione concertata per produrre due molecole d'acqua. L'enzima è abbastanza complesso da un punto di vista strutturale, contiene quattro centri redox, ognuno dei quali può acquistare un singolo elettrone. Quando tutti i centri sono ridotti, si ha il trasferimento dei 4 elettroni ad una molecola di ossigeno.
I Ros più importanti e diffusi sono l'anione superossido, il perossido di idrogeno, il radicale ossidrile e l'ossigeno singoletto.
La caratteristica peculiare dei radicali liberi di determinare delle reazioni a catena riveste un ruolo sfavorevole in molti meccanismi biologici in quanto Ros e radicali liberi prendono parte a molti processi degenerativi. Possono, infatti, danneggiare strutture quali lipidi, proteine, DNA, e sono fortemente implicati nello sviluppo di alcune malattie quali aterosclerosi (19), artrite reumatoide (20) e alcune forme di cancro (21). Va inoltre precisato che, se il collegamento fra queste patologie e radicali liberi è ampiamente accettato, i dettagli di queste interazioni non sono ancora ben conosciuti. (22).
3.5 La lipoperossidazione
La perossidazione dei lipidi si ha a livello degli acidi grassi polinsaturi, contenuti in elevate concentrazioni soprattutto nei fosfolipidi delle membrane cellulari.
Si parla di lipoperossidazione quando l'azione ossidativa a carico dei lipidi procede con meccanismo radicalico a catena. Il processo è iniziato dal radicale idrossile quando questa specie cattura un atomo di idrogeno da un carbonio metilenico nella catena polialchilica dell'acido grasso:
LH + OH? ? L? + H2O
Il radicale formatosi (L?) tende a stabilizzare la sua struttura attraverso un riarrangiamento a diene coniugato. I dieni coniugati rappresentano quindi un indice primario di perossidazione lipidica essendo i primi prodotti di questo processo ossidativo.
In condizioni aerobiche un acido grasso con un elettrone spaiato subisce un riarrangiamento molecolare con O2 per generare un radicale perossilipidico (LOO?). Questo prodotto è altamente reattivo e può dar luogo a due diverse reazioni (23):
1. Si può avere la ciclizzazione del gruppo perossilico con formazione di un lipoperossido ciclico, a partire da acidi grassi quali l'acido arachidonico e eicosapentoico. Questo prodotto può a sua volta, per reazioni successive, frammentarsi e dar luogo a catene alifatiche contenenti due gruppi funzionali carbonilici generando la malondialdeide (MDA), una dialdeide altamente reattiva (24). La MDA può reagire con i gruppi amimici liberi di proteine, fosfolipidi o acidi nucleici per produrre modificazioni strutturali delle molecole biologiche. Queste nuove strutture indotte dalla MDA vengono successivamente riconosciute dal sistema immunitario come estranee portando ad una risposta autoimmunitaria.
2. I radicali possono anche catturare molecole di idrogeno dagli acidi grassi adiacenti per formare un lipide idroperossido, inducendo la propagazione della perossidazione lipidica. L? può propagare ulteriormente le reazioni di perossidazione; in altre parole, dopo la fase di iniziazione dei processi di perossidazione promossa dai radicali dell'ossigeno, ha inizio la fase di propagazione dei processi stessi.
LOO? + LH ? LOOH + L?
La frammentazione e le lesioni molecolari degli acidi grassi insaturi dei fosfolipidi portano alla perdita della struttura della membrana cellulare, alla diminuzione della sua fluidità, alla perdita delle normali interazioni lipidi-lipidi e lipidi-proteine ed alla formazione di regioni idrofile nel core lipidico idrofobo. In seguito ad un processo perossidativo a carico di uno fosfolipide contenente un acido grasso polinsaturo, l'attacco del radicale R? in presenza di O2 trasforma l'acido grasso polinsaturo del fosfolipide in perossilipide: il gruppo perossilico così formato è molto più idrofilico di quello originario e tende a portarsi nella regione superficiale del bilayer ripiegando ad U la catena acilica dell'acido grasso. Questa nuova configurazione determina un aumento dell'ingombro, con conseguenti alterazioni strutturali e funzionali della membrana. La nuova configurazione del legame estereo, tra il glicerolo del fosfolipide ed il carbossile del perossilipide, facilita inoltre l'attività della fosfolipasi A2 di membrana, che idrolizza il fosfolipide perossidato a lipofosfolipide ed acido perossilipidico libero, comportando un ulteriore danno alla struttura e alla funzionalità della membrana. Si possono inoltre avere fenomeni di alchilazione di gruppi funzionali critici di proteine (gruppi SH) da parte di prodotti aldeidici derivanti dalla perossidazione con rottura dei legami peptidici o formazione di ponti disolfuro (-S-S-) intramolecolari. In tal modo si possono inattivare (o più raramente attivare) enzimi, alterare i sistemi recettoriali, e/o compromettere l'azione di proteine essenziali per l'omeostasi cellulare.
Importante è l'alterazione delle proteine del citoscheletro (actina e tubulina) e delle proteine di regolazione dei canali del calcio.
4. CLASSIFICAZIONE CEAP
Il campo della malattia venosa cronica ha sofferto per la mancanza di precisione nella diagnosi che ha procurato dati contrastanti negli studi sul trattamento di specifiche patologie venose (25).
Si ritiene che queste divergenze potrebbero essere risolte da una precisa diagnosi e classificazione relativamente ad ogni arto affetto, prima del trattamento terapeutico.
A tale scopo, l’utilizzazione di una singola classificazione universale faciliterebbe la comunicazione sulla IVC e servirebbe da fondamento per una analisi più precisa e scientifica dei trattamenti alternativi.
Nel Febbraio 1994 una commissione internazionale dell’American Venous Forum istituita appositamente si è interessata a queste problematiche in occasione di un meeting organizzato dalla Straub Foundation in Maui, Hawaii, Usa. Questa commissione, sotto la presidenza di Andrew Nicolaides, ha messo a punto un Consensus Document per la classificazione e la stadiazione della IVC chiamata classificazione CEAP basata sulle manifestazioni cliniche (C), sui fattori eziologici (E), la distribuzione anatomica (A), le condizioni fisiopatologiche (P).
Lo scopo fu quello di fornire una classificazione obiettiva ed esauriente che potesse essere utilizzata in tutto il mondo (26-29).
La classificazione CEAP è stata pubblicata in 25 riviste e testi in 8 lingue.
Oggi la maggior parte delle pubblicazioni in Flebologia usano la classificazione CEAP:
C linica (C 0-6, a=asintomatico, s=sintomatico)
E tiologia (c, p ,s)
A natomia (s, d, p)
P atofisiologia (r, o)
Classificazione clinica (C 0-6)
classe 0: assenza di segni clinici visibili o palpabili di malattia venosa
classe 1: presenza di teleangectasie o vene reticolari
classe 2: presenza di vene varicose
classe 3: presenza di edema
classe 4: turbe trofiche di origine venosa: pigmentazione, eczema, ipodermite
classe 5: come classe 4 con ulcere cicatrizzate
classe 6: come classe 4 con ulcere in fase attiva
Classificazione eziologica (Ec, Ep, Es)
Ec = congenita (dalla nascita)
Ep = primitiva (da causa non identificabile)
Es = secondaria (post-trombotica, post-traumatica, altre)
Classificazione anatomica (As, Ad, Ap)
As = interessamento del sistema superficiale
Ad = interessamento del sistema profondo
Ap = coinvolgimento delle vene perforanti
Sistema superficiale: As
1 - teleangectasie, vene reticolari della safena interna:
2 - al di sopra del ginocchio
3 - al di sotto del ginocchio
4 - safena esterna
5 - distretti non safenici
Sistema profondo: Ap
6 - vena cava inferiore, vena iliaca
7 - comune
8 - interna
9 - esterna
10 - vene pelviche: genitali, legamento largo
11 - vena femorale comune
12 - profonda
13 - superficiale
14 - vena poplitea
15 - vene di gamba o crurali: vene tibiali posteriori, tibiali anteriori, vene peroniere
16 - vene muscolari: vene gemellari, vene soleali
Vene perforanti: Ap
17 - a livello di coscia
18 - a livello di gamba
Classificazione fisiopatologica (Pr, Po)
Pr = reflusso
Po = ostruzione
Pr+o = reflusso + ostruzione
Gli autori di questa classificazione hanno compreso però la necessità di ampliarla e modificarla in seguito alle nuove conoscenze che vengono man mano acquisite in campo flebologico. Nel 2000 sono state pubblicate due modifiche della classificazione CEAP. Un apposito comitato dell’American Venous Forum ha presentato un nuovo sistema di valutazione delle malattie venose secondo la loro severità (30) ed una Consensus Conference internazionale a Parigi ha proposto una nuova classificazione per le varici ricorrenti dopo interventi chirurgici (31).
Su iniziativa francese è stata istituita una Banca Dati Flebologica Europea, dove 49 Angiologi di nove paesi europei hanno fornito dati completi di 872 pazienti; sulla scorta delle loro osservazioni, è stata organizzata una Consensus Conference sulla ridifinizione della “C” in CEAP durante il 14° congresso mondiale della Unione Internazionale di Flebologia, tenutosi a Roma nei giorni 8-14 Settembre 2001 (32).
I membri di questo gruppo di lavoro hanno preso in considerazione approfonditamente le definizioni esistenti nell’originale documento CEAP ed hanno ritenuto che in alcuni casi fossero necessari una migliore definizione ed un ampliamento (33).
4.1 Nuova classificazione CEAP
I risultati di tale lavoro relativi alla definizione dei termici di comune uso nella CEAP sono riportati di seguito.
Le definizioni sono essenziali per un corretto e uniforme linguaggio “flebologico”.
Riguardo la classificazione CEAP, la classe 4 viene suddivisa in due parti: C4a, comprendente la pigmentazione e l’eczema, e la classe C4b, con lipodermatosclerosi e atrofia bianca, allo scopo di definire più correttamente la severità delle alterazioni trofiche considerando che i segni della classe C4b sono predittivi dello sviluppo di ulcere (33).
4.2 Definizione dei termini clinici
TELEANGECTASIA
Confluenza di venule intradermiche permanentemente dilatate di meno di 1 mm di calibro.
Spiegazione: esse dovrebbero essere normalmente visibili da una distanza di 2 metri in buone condizioni di luce.
Sinonimi: “spider veins”, “hyphen webs”, “thread veins”
VENE RETICOLARI
Vene intradermiche bluastre permanentemente dilatate solitamente di diametro da 1 mm a meno di 3 mm.
Spiegazione: sono di solito tortuose. Questo esclude vene visibili "normali" nei soggetti con cute trasparente.
Sinonimi: vene blu, varici intradermiche, venulectasie.
VENE VARICOSE
Vene sottocutanee permanentemente dilatate, di 3 mm di diametro o più, in posizione eretta.
Spiegazione: le vene varicose sono solitamente tortuose ma anche le vene rettilinee con reflusso possono essere classificate come varicose. Possono essere vene varicose tronculari, tributarie o non safeniche.
Sinonimi: varice, varici, varicosità.
CORONA FLEBECTASICA
Teleangectasie intradermiche a ventaglio localizzate nelle regione laterale e mediale del piede.
Spiegazione: il significato e la localizzazione sono controverse e richiedono alcune considerazioni. A volte potrebbe rappresentare il segno iniziale di malattie venose in stadio avanzato. In alternativa si può riscontrare negli arti che presentano semplici teleangectasie in altre sedi.
Sinonimi: “flare” malleolare, “flare” della caviglia.
EDEMA
Incremento percepibile del volume del fluido nel tessuto sottocutaneo identificato dalla formazione di una impronta sotto pressione.
Spiegazione: questa definizione include solo l'edema attribuibile alla malattia venosa. L'edema venoso si manifesta di solito nella regione della caviglia ma può estendersi al piede e alla gamba.
PIGMENTAZIONE
Scurimento pigmentato brunastro della cute che si riscontra di solito nella regione della caviglia ma che può estendersi al piede ed alla gamba.
Spiegazione: è una modificazione iniziale della cute.
ECZEMA
Eruzione eritematosa, vescicolare, essudativa o desquamativa della cute della gamba.
Spiegazione: è spesso localizzato vicino a vene varicose, ma può essere riscontrato in qualsiasi zona della gamba.
Talvolta può estendersi a tutto il corpo. L'eczema è di solito dovuto a malattie venose croniche e/o alla sensibilizzazione a terapie locali.
Sinonimi: dermatite da stasi.
LIPODERMATOSCLEROSI
Indurimento cronico della cute localizzato, talvolta associato a cicatrizzazione e/o contrattura.
Spiegazione: è un segno di malattia venosa severa, caratterizzata da infiammazione cronica e fibrosi della cute, del tessuto sottocutaneo e talvolta della fascia.
IPODERMITE
L'ipodermite viene riferita ad una forma acuta di lipodermatosclerosi. E' caratterizzata da fragilità e diffuso arrossamento della cute dovuto ad infiammazione acuta.
Spiegazione: L'assenza di linfoadenite e di febbre differenzia questa condizione dalla eresipela o cellulite.
ATROPHIE BLANCHE O ATROFIA BIANCA
Area biancastra e atrofica, circoscritta spesso circolare della cute circondata da chiazze di capillari dilatati e talvolta iperpigmentazione.
Spiegazione: è un segno di malattia venosa severa. Lesioni cicatriziali di ulcere guarite sono escluse in questa definizione.
ULCERE VENOSE
Alterazioni croniche della cute che non riescono a guarire spontaneamente, causate da malattie venose croniche.
5. COMPLICANZE
Le complicazioni dell'insufficienza venosa cronica sono:
-flebite o tromboflebite superficiale;
-varicorragia;
-trombosi venosa profonda (con eventuale embolia polmonare).
La tromboflebite superficiale (che prende la denominazione di varicoflebite quando localizzata in una vena varicosa) è complicanza frequente della sindrome varicosa. Si sviluppa soprattutto in rapporto a stasi venosa e alterazione endoteliale. Clinicamente si presenta con una formazione cordoniforme lungo il decorso di una vena, tumefazione, eritema, edema locale, indurimento della vena sede dell'evento. La diagnosi è esclusivamente clinica.
La varicorragia è complicanza data da rottura spontanea o traumatica di vaso varicoso. È una complicanza non rara delle varici. L'emorragia è interna se si verifica nel sottocutaneo (o in sede sottofasciale se è interessata una perforante). Si verifica solitamente dopo un trauma o uno sforzo muscolare molto violento. L'emorragia esterna si verifica solitamente su varici di piccole dimensioni, molto superficiali, di colore nero, ricoperte da una cute sottilissima, quasi trasparente. La sede classica è la caviglia, talora il dorso del piede.
La trombosi venosa profonda è complicanza possibile in ogni caso di insufficienza venosa cronica in rapporto al concorso di varie condizioni (quali la flebostasi dell'insufficienza venosa cronica, la degenza, un intervento chirurgico, il parto, ecc.), ma soprattutto nell'insufficienza venosa profonda. In particolare nell'insufficienza venosa profonda primaria la trombosi venosa profonda può condurre allo sviluppo di una sovrapposta sindrome post-trombotica. Invece nella sindrome post-trombotica può svilupparsi una retrombosi venosa profonda, responsabile di possibile aggravamento dell'insufficienza venosa cronica. La trombosi venosa profonda nei casi di insufficienza venosa cronica comporta i problemi clinici, diagnostici e terapeutici propri della trombosi venosa profonda, aggravati dalla preesistente flebopatia cronica.
6. DIAGNOSTICA
6.1 Diagnostica clinica
All'esame fisico, che va condotto con il paziente in posizione eretta prima e in clinostatismo poi, si possono rilevare importanti segni all'ispezione, alla palpazione e con alcuni test.
All'ispezione si può riscontrare edema, di cui si definiscono la localizzazione (alla caviglia, al polpaccio) e l'entità (misurando la circonferenza dei segmenti con edema e confrontandola con quella dei segmenti normali dell'arto inferiore controlaterale). Si può rilevare la presenza di flebectasie e varici, definendone la localizzazione in rapporto al sistema della vena grande safena, a quello della vena piccola safena e alle vene comunicanti. Infine possono essere riscontrate eventuali alterazioni della cute, come le discromie, la lipodermatosclerosi e l'ulcera.
Alla palpazione è possibile definire lo stato dell'edema, che è compressibile nelle forme meno gravi e diventa incompressibile quando subentra la lipodermatosclerosi. Delle vene superficiali è possibile definire il decorso e lo stato della parete, nonché la dolorabilità. In particolare è possibile verificare l'eventuale incontinenza valvolare delle principali vene comunicanti ricercando nelle rispettive sedi uno iato nella fascia.
È possibile rilevare incremento della temperatura locale, soprattutto lungo il decorso delle vene varicose e nei segmenti distali dell'arto inferiore.
La manovra di Schwartz consiste nel rilevare con una mano lungo un tronco venoso gli impulsi determinati da brevi colpi impressi con l'altra mano o da colpi di tosse. È una manovra che consente di rilevare la presenza di reflusso o a differenziare una vena varicosa da un'altra tumefazione (ad es. da un'ernia inguinale o crurale, da un lipoma, ecc.).
Il testo del laccio (o di Trendelenburg o di Rima-Trendelenburg) è una prova per saggiare la funzionalità valvolare della giunzione safeno-femorale, della vena piccola safena e delle vene comunicanti. Tre sono le risposte fondamentali che si possono osservare a questo test:
a) insufficienza valvolare della giunzione safeno-femorale;
b) insufficienza valvolare di vene comunicanti;
c) insufficienza valvolare sia della giunzione safeno-femorale sia di vene comunicanti.
Si esamina il paziente con varici in ortostatismo; quindi si ottiene svuotamento delle varici a paziente in clinostatismo con arto inferiore da esaminare sopraelevato; si applica un laccio alla radice della coscia; il paziente si rimette in ortostatismo e si rivaluta il comportamento delle varici. Si può osservare che tenendo il laccio alla radice della coscia non si ottiene riempimento delle varici, che invece si ha dopo rimozione del laccio (risposta a. = Insufficienza valvolare della giunzione safeno-femorale) . Si può osservare che, nonostante il laccio alla radice della coscia, dopo alcuni secondi le varici cominciano a riempirsi e il loro stato di turgore non viene modificato dalla rimozione del laccio (risposta b. = Insufficienza valvolare di vene comunicanti). A paziente in ortostatismo con laccio alla radice della coscia, si osserva già riempimento delle varici e alla rimozione del laccio ulteriore incremento del loro turgore (risposta c. = Insufficienza valvolare della giunzione safeno-femorale e di vene comunicanti). Il test può essere impiegato altresì per la valutazione della vena piccola safena collocando il laccio sotto il ginocchio.
È possibile identificare la sede delle vene comunicanti incontinenti con il test di Ochsner e Mahoner, che comporta l'applicazione di più lacci per poter evidenziare il segmento dell'arto inferiore dove il reflusso nelle vene comunicanti dà riempimento precoce delle varici a lacci applicati.
Il test di Perthes serve a stabilire se la rete venosa superficiale è indispensabile per il ritorno venoso dell'arto. Viene eseguito facendo camminare il paziente dopo aver apposto un laccio alla radice della coscia. Da questa prova ci si possono attendere tre risposte:
a) dopo alcuni passi il paziente deve interrompere bruscamente la marcia per il dolore. All'osservazione si assiste anche all'aumento del turgore delle ectasie varicose;
b) il paziente non è obbligato ad interrompere la marcia e all'osservazione dell'arto si assiste soltanto ad un aumentato turgore dei segmenti varicosi;
c) il paziente anche in questo caso non è impedito nella marcia e al termine della stessa si può osservare lo svuotamento delle ectasie varicose.
Nel caso a) si può certamente porre diagnosi di ostruzione del circolo venoso profondo: il sistema venoso superficiale, seppur patologico, è in questi casi indispensabile per il ritorno venoso dell'arto e non può essere eliminato. Nel caso b) il sistema venoso profondo dell'arto è pervio e l'incremento delle ectasie venose è dovuto all'insufficienza di una o più perforanti. Anche nel caso c) il circolo venoso profondo è ugualmente pervio, ma non si riscontrano vene perforanti insufficienti.
6.2 Diagnostica strumentale
La diagnostica non invasiva delle malattie venose è stata sviluppata per lo screening, la quantificazione del danno e lo studio emodinamico. I medici generici e gli specialisti devono conoscere, con diversi gradi di competenza, il significato dei vari test vascolari e le loro indicazioni e limitazioni, così da limitare al massimo l’uso di test più invasivi e costosi (34). Le malattie venose presentano una maggiore difficoltà di valutazione rispetto alle malattie arteriose e richiedono quindi una certa esperienza ed una valutazione più accurata. Per tali motivi i test venosi risultano maggiormente operatore-dipendente e richiedono una competenza specifica clinica soprattutto per la valutazione dell’insufficienza venosa cronica.
L’IVC può essere il risultato di ostruzione al deflusso, reflusso, o una combinazione di entrambe. L’obiettivo dell’esame clinico e strumentale è rilevare quale fra tali condizione sia presente. Va ricercata inoltre la localizzazione anatomica dell’alterazione e quantificato il reflusso e/o l’ostruzione. Sono disponibili molti test, semplici, rapidi ed efficaci per costo-beneficio.
Le procedure diagnostiche, riportate di seguito in forma sintetica, rispecchiano quanto pubblicato nelle “procedure operative per indagini diagnostiche vascolari”, edite dalla Società Italiana di Diagnostica Vascolare ed accettate dal Collegio Italiano di Flebologia (35).
Indagini utilizzabili
• Ultrasonografiche:
– Doppler C.W.;
– eco-Doppler (duplex);
– eco(color)Doppler (ECD);
• Imaging Radiografico:
– angio - TC;
– angio - RM;
– pletismografiche;
– fotopletismografia quantitativa;
– flebografia.
Iter diagnostico
Lo scopo dell’esame è l’accertamento di un reflusso oppure di una trombosi venosa superficiale e/o profonda.
Nei due casi l’iter diagnostico e procedure sono differenti.
Il circolo venoso profondo deve sempre essere valutato.
Accertamento di un reflusso
L’indagine utilizzata può essere una di quelle sopra indicate. Le metodiche di prima scelta sono quelle ultrasonografiche o la fotopletismografia; i due tipi di indagine devono essere considerati complementari piuttosto che alternativi.
L’esame Doppler con ultrasuoni permette di dimostrare la presenza di un reflusso, identificare la sua origine e seguire l’asse di reflusso in senso cranio-distale.
Strumentazione: Si utilizza per il Doppler CW una sonda da 8 MHz, per l’eco-Doppler una sonda lineare da 5-10 MHz.
Procedura
L’esame viene eseguito con il paziente in ortostatismo.
La mano destra dell’esaminatore tiene la sonda che viene posta all’origine della vena grande o piccola safena.
La mano sinistra esegue delle brevi manovre di compressione e successivo rilasciamento sulla stessa vena in sede distale. Queste manovre sono essenziali, specie per il Doppler CW che non permette di vedere la vena insonata.
Dopo aver centrato la sonda sulla vena, il paziente esegue una manovra di Valsalva standardizzata e prolungata.
Si valuta la durata del reflusso durante la manovra di Valsalva. I valori limite normali e patologici più frequentemente utilizzati sono i seguenti:
– Safena normale reflusso < 0,5 sec.
– Safena dilatata ma continente reflusso > 0,5 sec.< 1,0 sec
– Safena svalvolata reflusso > 1,0 sec
È possibile seguire la vena in direzione distale identificando così l’asse del reflusso e definendo se tutta la safena è svalvolata o solo una sua parte. Questo dato è importante per decidere l’estensione distale dell’intervento di strip safenico.
L’esame eco-(color)-Doppler è più facile da interpretare rispetto all’esame Doppler CW e fornisce delle ulteriori indicazioni connesse alla morfologia della grande safena, come il diametro della stessa, il calibro e la continenza valvolare delle collaterali ostiali e di eventuali safene accessorie, una visualizzazione ottimale della valvola ostiale e pre-ostiale (36). Nella valutazione del reflusso nella piccola safena l’eco-(color)-Doppler permettte di studiare l’anatomia vascolare del poplite, la sede esatta di origine dalla vena poplitea piuttosto che una origine alta della safena dalla vena femorale superficiale, la continenza della vena di Giacomini, un’origine del reflusso da perforante poplitea.
In conclusione la procedura per l’esame Doppler ed eco-Doppler è simile. Entrambe le indagini forniscono l’informazione essenziale che è la durata del reflusso in secondi durante Valsalva, che deve essere sempre ben valutabile nella documentazione allegata all’esame.
L’eco-(color)-Doppler fornisce informazioni morfologiche permettendo di ricostruire l’anatomia vascolare, il diametro dei vasi, permettendo di studiare in modo accurato la mappa emodinamica pre-operatoria e le possibili recidive post chirurgia o post scleroterapia.
La dimostrazione di un reflusso da una perforante incontinente è invece accurata con l’eco-(color)-Doppler, poco precisa con il Doppler CW, che non dovrebbe più essere utilizzato a questo scopo.
L’esame ultrasonoro permette di studiare il singolo asse superficiale o profondo, identificandolo in base alla diversa sede anatomica e permette di dimostrare in modo completo l’origine e l’asse del reflusso. Anche questo esame consente di ottenere un dato quantitativo in modo ripetibile ed attendibile (la durata del reflusso durante manovra di Valsalva eseguita in maniera standardizzata).
Il limite dell’esame ultrasonoro è legato proprio alla sua valutazione selettiva e distrettuale che
male si presta a studiare in maniera globale e funzionale la rilevanza del danno causato dal singolo reflusso sul ritorno venoso (37).
L’esame fotopletismografico (PPG) quantitativo computerizzato eseguito con il test della pompa venosa, per esempio con le manovre di estensione dorsale dell’articolazione tibio-tarsica, valuta invece l’efficacia funzionale globale della pompa muscolare e la continenza valvolare degli assi venosi (38).
La pletismografia venosa consente di valutare la funzionalità venosa globale misurando i cambiamenti del volume di sangue venoso nella gamba. Queste misurazioni possono essere effettuate con una delle tre tecniche pletismografiche oggi in uso: la fotopletismografia/reografia a luce riflessa (PPG/RLR), la pletismografia strain gauge (estensimetrica, SGP) e la pletismografia ad aria (APG) (39).
La PPG/RLR utilizza fotosensore fissato sulla cute che misura il riempimento del plesso venoso cutaneo; la SPG utilizza sensore estensimetrico (laccio conduttore elastico) che misura i cambiamenti della circonferenza della gamba nel punto dove è applicato, mentre il sensore della APG è un gambaletto gonfiabile che misura i cambiamenti del volume venoso totale della gamba.
Effettuando misurazioni in diverse posizioni e con diverse manovre, si possono valutare i seguenti parametri:
1) deflusso venoso (rallentato se presente una occlusione venosa);
2) reflusso venoso totale (grado di incontinenza valvolare);
3) efficacia della pompa muscolo-venosa del polpaccio (grado di svuotamento venoso durante l’esercizio muscolare e velocità di riempimento venoso dopo la fine dell’esercizio).